Il concetto di vita nominale, dal punto di vista del committente, presenta notevoli difficoltà di comprensione. Questo perché la sua applicazione vuole rappresentare tutto il corso della vita di una struttura, sia per quanto riguarda la durabilità, sia per il calcolo dell’azione sismica di riferimento. Ancora più complicato è il concetto se applicato agli edifici esistenti.
In particolare, per stabilire l’azione sismica si utilizza la vita nominale per calcolare il tempo di ritorno dell’azione sismica, in funzione della probabilità di superamento Pvr per un dato stato limite. Quindi, utilizzando la distribuzione di Poisson, si ipotizza che in una data finestra temporale (periodo di riferimento Vr) è previsto che mediamente si verifichi almeno un terremoto di una data intensità (accelerazione ag) avente un dato tempo di ritorno Tr (frequenza media annua λ = 1/Tr). L’accelerazione ag viene ricavata dalle curve di pericolosità sismica in funzione di Pvr, considerando lo stato limite da analizzare.
Dopo queste precisazioni, definiamo in maniera più completa i due tipi di durata:
- Vita nominale → numero di anni nel quale è previsto che l’opera, purché soggetta alla necessaria manutenzione, mantenga specifici livelli prestazionali;
- Periodo di riferimento → periodo convenzionale di valutazione delle azioni sismiche.
Nel caso della valutazione della vulnerabilità di un edificio esistente, il concetto di “vita nominale” viene modificato trasformandolo dapprima in “vita nominale restante” (vedi parere 6 CTS della Regione Emilia-Romagna 27/07/2010), e poi in “tempo di intervento” Tint per un dato meccanismo vulnerabile (circolare DPC/SISM/83283 del 4/11/2010). Inoltre, già per le opere che caratterizzano il patrimonio culturale è regolarmente ammesso un compromesso tra interventi e rischio, ammettendo anche vita nominale restante inferiore ai 50 anni.
La vita nominale restante è un parametro relativo solo alla perdità economica dei beni e non alla perdità di vite umane, pertanto la decisione di posticipare degli interventi sarà legata solo alla disponibilità economica da parte del committente. Il tempo di intervento dovrebbe essere utilizzato per programmare e differire nel tempo gli interventi da realizzare. C’è da considerare che questo parametro è stato formulato principalmente per ripartire in maniera più corretta ed opportuna i fondi pubblici.
Operativamente, per una struttura esistente si dovrà calcolare:
- Resistenza in termini di accelerazione (PGAr)
- Tempo di ritorno TrR della PGAr
- Tempo di intervento Tint considerando anche Cu
In base alla DPC/SISM/83283 per Tint superiore a 30 anni si ritiene non necessaria un’immediata programmazione degli interventi. Se Tint invece risulta minore o uguale a 2 anni si configura un “particolare elemento di rischio” che implica l’urgenza degli interventi. Nel caso in cui Tint risulti nullo, la verifica non è risulta soddisfatta neanche per i soli carichi statici ed è obbligatorio intervenire immediatamente. In ogni caso il parametro Tint è utile per la programmazione degli interventi per il relativo periodo, considerando anche la possibilità di fare un piano di emergenza in caso di sisma.
Il tempo di intervento è comunque da intendere in termini probabilistici. E’ bene sottolienare al committente che vista l’imprevedibilità dei terremoti, il posticipare gli interventi necessari comporta l’assunzione di determinati rischi. E’ importante, inoltre, chiarire che fornire il tempo di intervento non vuol dire che l’incolumità della struttura è assicurata in quel lasso temporale.
Facciamo un esempio. Un edificio adibito a scuola (Cu pari a 1.5) ha indicatore di rischio SLV (vedi articolo “Vulnerabilità sismica…”) del tempo di ritorno pari a 0.6 (corrispondente a circa 140 anni). Dalla formula riportata in precedenza otteniamo Tint pari a 10 anni.
Ciò vuol dire che per i prossimi 10 anni c’è la probabilità del 10% che la struttura in seguito ad un terremoto distruttivo (che avviene ogni 475 anni – SLV), possa subire danni importanti.
Come possiamo vedere il concetto non è semplice neanche per noi professionisti. A questo punto mi chiedo come si può spiegare in maniera più semplice tutto ciò al committente. Forse si potrebbe porre la questione spiegando che i 10 anni sono il tempo massimo (quasi come un ultimatum) per fare degli interventi strutturali in modo da poter stare tranquilli per altri 50 anni, ed accomunarsi alle strutture di nuova costruzione.
Una spiegazione più completa viene fornita dal Prof. Lagomarsino, secondo il quale la vita nominale restante ha più il significato di tempo di validità della verifica di vulnerabilità. In effetti, allo scadere la verifica sismica dovrebbe essere ripetuta aggiornandola considerando nuove condizioni verso le quali la struttura potrebbe essere più vulnerabile (degrado, ecc..)
Lo stesso Lagomarsino fa un’osservazione interessante legando la vita nominale alla possibilità (ed ipotetica) futura di avere mappe di pericolosità che tengano conto anche degli eventi già accaduti. Con questa ipotesi l’aggiornamento della verifica di vulnerabilità dovrebbe essere effettuato con azioni sismiche più gravose considerando la riduzione la vita nominale restante anche in funzione dello “scadere” del tempo di ritorno.
Cari colleghi, adesso spiegate tutto a qualche Sindaco che vi chiederà: “ah… ma… quindi per 10 anni possiamo stare tranquilli?”
Bibliografia:
Parere 6 del 27/07/2017 – CTS Regione Emilia Romagna
Circolare DPC/SISM/0083283 del 4/11/2010
Vulnerabilità sismica di edifici esistenti in cemento armato e in muratura – S. Colombini – EPC Editore
Documenti utili:
Pericolosità sismica, azioni sismiche, progettazione prestazionale, effetti locali nella normativa italiana – Prof. F. Braga
Vulnerabilità sismica degli edifici ed infrastrutture strategiche – Ing. A. Bianchi
Link utili:
Catalogo dei terremoti DBMI15 (1000-2014)
Buongiorno ing. Pisano
ho letto con molto interesse l’articolo afferente alla “vita nominale restante” e le sottopongo la seguente riflessione.-
Mi sembra ci sia molta differenza illustrare a un committente (privato) i risultati del consolidamento di un fabbricato (classe II) in termini di coefficiente di sicurezza o di vita nominale restante/tempo di intervento.-
Quando si esprime il risultato in termini di zitaE (coefficiente di sicurezza) incrementato di un fattore 0.1 (il minimo richiesto per il miglioramento sismico dalle NTC 2018) il Committente ritiene di aver speso abbastanza bene i suoi soldi e soprattutto di averlo fatto “per sempre”, mentre quando gli si dice che la vita nominale restante/tempo di intervento viene incrementato da ad esempio 5 anni (zitaE=0.4) a 9 anni (zitaE=0.5) non comprende bene per cosa abbia impiegato il suo denaro visto che dopo soli 4 anni gli viene detto che il tempo di validità della verifica effettuata viene a scadere.-
Cosa ne pensa?
Grazie
E’ vero. In effetti, per i motivi che lei ha efficacemente illustrato, nell’articolo viene lasciata in sospeso la soluzione sull’approccio con il committente. Sono anche io d’accordo che la vita nominale restante (soprattutto se è bassa) potrebbe scoraggiare il committente da fare opere. E’ anche vero però che l’incremento di indicatore della PGA pari a 0.1 è dipendente dal valore di partenza. Se si parte da PGA basse parliamo comunque di strutture con scarsa performance al sisma, anche dopo il miglioramento. In questi casi incrementare di 0.1 l’indicatore di rischio forse non è conveniente economicamente, in quanto si aumenta di poco la sicurezza totale della costruzione. Se per SLV abbiamo una domanda di 0.35g, 0.1 corrisponde a 0.035, meno del corrispondente SLO. Per la salvaguardia della vita è poca cosa. Aspettiamo la circolare esplicativa sperando che ci sia qualche indicazione aggiuntiva.
Buongiorno ing. Pisano,
prima di tutto volevo ringraziarla per l’ottimo sito ed il tempo da lei dedicato alla divulgazione ed alla spiegazione tecnica di argomenti che la normativa spesso da per scontati o su cui non si sofferma con il dovuto approfondimento.
La contatto in merito all’interessante articolo sul calcolo del tempo di intervento nella valutazione sismica degli edifici esistenti e di cui mi sfugge il presente aspetto:
quando lei riporta:
“Ciò vuol dire che per i prossimi 10 anni c’è la probabilità del 10% che la struttura in seguito ad un terremoto distruttivo (che avviene ogni 475 anni – SLV), possa subire danni importanti.”
avendo calcolato il Tint per un sisma il cui tempo di ritorno è di 140 anni la frase non dovrebbe essere la seguente:
“Ciò vuol dire che per i prossimi 10 anni c’è la probabilità del 10% (sisma SLV) che la struttura in seguito ad un terremoto distruttivo (che avviene ogni 140 anni ), possa subire danni importanti.”
La ringrazio,
Cordiali saluti,
F.D.
Il valore 140 anni rappresenta il periodo di ritorno della PGA che la struttura riesce a sopportare, ed è utilizzato per il calcolo della vita nominale restante (i 10 anni dell’esempio). Il valore 475 è invece il tempo di ritorno associato alla probabilità 0.1 e per lo SLV. Per cui la vita nominale restante indica un countdown “statistico” per lo scadere del tempo di ritorno SLV. Grazie dell’attenzione che mi rivolgete, spero sempre di essere utile…
Grazie per la risposta.
La invito a leggere l’interessante commento dell’ing.Rugarli al fondo del presente confronto : http://www.ingegneri.info/forum/viewtopic.php?f=8&t=78922
La vita nominale (o la Vn restante) é la finestra temporale in cui vi é la probabilità del x% (10% a slv) che si manifesti un sisma caratterizzato da un Tempo di ritorno specifico (se Vr=CuVn=50anni allora a slv Tr=475 anni). Per tale ragione mantenendo la probabilità di accadimento invariata ma riducendo la finestra temporale (Vn restante o Tint) la Tr deve per forza variare riducendosi (e di conseguenza la apg correlata).
Purtroppo indipendentemente da questi aspetti di sterile analisi statistica, le nuove NTC18 non danno indicazioni chiare su come procedere allo scadere della Vita nominale o della vita nominale restante….aspetto non di poco conto, sia dal punto di vista tecnico che di responsabilità….
Speriamo che la nuova circolare esplicativa sia d’aiuto, al momento l’unica cosa certa é (cit. prof. Lagomarsino): “…se al termine della vita nominale si dovesse riutilizzare la stessa mappa usata la volta precedente, senza tener conto del tempo trascorso, si arriverebbe al paradosso di poter reiterare la stessa verifica all’infinito senza mai attuare alcuna ulteriore azione preventiva…”
Saluti,
FD
Grazie per il suo contributo. Questo è proprio il senso di blog come questo. Che la vita nominale restante non sia un parametro da utilizzare per la sicurezza penso che sia chiaro. E’ bene vedere ogni cosa per il fine per il quale è pensata: il suo utilizzo è per ripartire i fondi per il miglioramento sismico di edifici (in particolare monumentale). L’indicatore di rischio invece è un parametro che ha più ben importanza nei riguardi della sicurezza. Per quanto riguarda i metodi per stimare l’azione sismica, non essendo un sismologo, a pelle posso dire che (come spesso accade) l’uso della statistica e delle probabilità può essere legato al fatto che sulla predizione dei terremoti ne sappiamo ancora molto poco…
Buonasera ing. Pisano,
la contatto per un chiarimento: il tempo di ritorno SLV per l’esempio sopra riportato, non dovrebbe essere di 712 anni (essendo Cu=1,5)?
Inoltre mi sfugge il passaggio mediante il quale si giunge a calcolare 140 anni partendo dall’indicatore di rischio SLV 0,6.
La ringrazio fin da ora.
Saluti
J.B.
La ringrazio per la segnalazione. In effetti c’è un errore: il valore corretto non è 140 ma è 203 anni ricavabile da –> alfaTr = (TrCap/TrDom)^(1/2.46). Per alfaTr = 0.6–> TrCap = 203 con TrDom = 712. Sostituendo si avrà 14 anni anziché 10 anni di tempo di intervento. Di conseguenza il 475 diventa 712…Appena possibile aggiorno l’articolo. Per distrazione ho riportato i dati di un calcolo fatto con cu pari ad 1 modificandolo (per motivi di resa dell’articolo). Grazie e buon lavoro.
Grazie per il chiarimento.
Un’ulteriore cosa: la formula utilizzata, alfaTr = (TrCap/TrDom)^(1/2.46), è sempre valida per calcolare il tempo di ritorno se si è a conoscenza dell’indicatore di rischio slv?
Grazie
Al momento ho sempre ragionato considerando l’indicatore di rischio SLV riferito alla sola verifica globale; secondo il suo parere ha senso considerare le verifiche locali per determinare il tempo di ritorno e di conseguenza il tempo di intervento?
Grazie della disponibilità.
Saluti
J.B.
Rispondo ad entrambe le domande. La formula da utilizzare è sempre quello, al massimo si può affinare applicando l’esponente in funzione dell’ag della zona (vedi linee guida sismabonus). Per quanto riguarda le verifiche locali, in generale si può fornire un indicatore di rischio per ogni verifica e poi valutare qual è quello critico. Aggiungo che le schede per la ripartizione dei fondi (quelle collegate all’OPCM 3274) hanno diversi indicatori per taglio, flessione, nodo, ecc…